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Il nostro amico Pedro ci aveva esortato a scrivere la recensione di questo disco, e, memore della sua grande conoscenza musicale, ho affrettato l'ascolto dell'album, il sesto dei The Coral. Ho anche letto cio' che si dice in rete riguardo a questa attesa release, e inaspettatamente le recensioni sono apparse molto positive. Molti in passato avevano accusato la band di James Skelly di limitarsi al compitino, pur riconoscendone il talento cristallino a livello compositivo. A mio avviso, in questo caso i ragazzi hanno deciso di andare decisamente oltre il compitino, mettendo insieme un disco azzeccatissimo, in grado di riaffermare la loro superiorita' rispetto alla grande maggioranza degli artisti che, seppur con buonissimi risultati, si avvicinano al folk-rock. E, come gia' detto molte volte, il folk sembra essere diventato dannatamente di moda. Per questo un'affermazione cosi' netta da parte dei Coral ha un significato ancora maggiore. Ascoltando l'intero album, si ha la sensazione che la band avesse talmente tanto da dire, che l'impresa piu' ardua fosse quella di ridurre tutto alla canonica lunghezza delle 10-12 tracce. E' per questo, credo, che dopo l'uscita della versione normale, e' stata pubblicata anche una versione deluxe contenente ben 5 pezzi in piu' (non contando la versione acustica di '1000 Years'). Il terreno di fondo del disco e' un folk rock vintage, ispirato (e anche qualcosa di piu') alle atmosfere USA e UK dei '60s e '70s e denso di psichedelia. C'e' piu' chitarra acustica, c'e' piu' fingerpicking rispetto all'ultimo album in studio, 'Roots and Echoes', uscito nel 2007. Ma non e' soltanto un ritorno al passato questo. Si notano maturita' e forza maggiori anche rispetto a 'The Invisible Invasion' del 2005, col quale si erano fatti conoscere. In quel caso mi capito' di vederli aprire per gli Oasis a Milano e in questi giorni mi e' frullata in testa una considerazione. Tra le band piu' pompate dai Gallagher in questi ultimi anni ci sono Kasabian e The Coral, autori nell'ultimo periodo di album bellissimi. Evidentemente i fratelloni hanno naso. Tornando a noi, l'album e' estremamente omogeneo. Ogni pezzo ha una sua specificita' ma nell'insieme non ha cali o cambi di ritmo troppo improvvisi. Le melodie variano anche se l'ascolto dev'essere attento, perche' non siamo di fronte ad un disco easy listening. I testi sono abbastanza semplici, si parla di relazioni e di natura, di cuori spezzati e paesaggi. Sin dall'inizio del disco si ha la sensazione di incamminarsi lungo una strada di campagna, assaporando le atmosfere naturali, ma anche aprendosi alla forza dei sentimenti. La title-track 'Butterfly House' e' il brano piu' enigmatico, uno di quelli che piu' rimanda ad antiche sonorita'. In piu' c'e' la grande idea della voce "fuori campo" che si inserisce tra i coretti. E' il pezzo piu' bello del disco. Del primo singolo '1000 Years' abbiamo parlato. La sua relativa immediatezza riporta agli ultimi brani firmati The Coral ('Jacqueline'). Probabile prossimo singolo potrei rischiare la spensierata 'Two Faces', catchy abbastanza per attirare l'attenzione. 'Walking in the Winter' e' il tipico pezzo folk consapevole e ben strutturato. Le due tracce iniziali 'More Than A Lover' e 'Rowin' Jewel' sembrano idealmente legate e funzionali ad introdurre il disco. Il finale e' invece maggiormente psichedelico ed enigmatico. 'Butterfly House' e' insomma un ottimo disco country-folk, da ascoltare ad alto volume, assimilandone in pieno il sound. Solo in questo modo se ne puo', a mio parere, comprendere fino in fondo la purezza. Perche' questo e' un disco pulito, che si rifà al passato ma non esprime nostalgia. Che spazia a sufficienza per non risultare noioso e ripetitivo. Siamo di fronte ad un'ottima release.
1 commento:
PEDRO
ha detto...
Recensione impeccabile! Vi ringrazio per avermi citato! CHEERS
(tratto da Wikipedia.org) Il termine musica indie (neologismo della lingua inglese derivato dalla contrazione del termine independent) è riferibile ad un insieme di generi musicali caratterizzato da una certa indipendenza, reale oppure percepita, dalla musica pop commerciale e da una cultura cosiddetta mainstream (cultura di massa), nonché da un approccio personale alla musica stessa. Il termine Indie è spesso confuso con il tipo di suono prodotto dal musicista quando è in realtà il modo in cui il suono è presentato o prodotto. Infatti, esso è spesso associato a un artista o a un gruppo che non fa parte della cultura mainstream o che fa musica al di fuori dell'influenza della stessa. Sebbene lo stile musicale di questi gruppi possa variare molto, tale associazione deriva infatti da un atteggiamento tipo "fai-da-te" e dall'abilità di lavorare al di fuori delle grandi corporations. Tuttavia, non è affatto detto che un'etichetta che si definisce indipendente garantisca un approccio libero, non orientato verso il marketing o comunque a uno stile musicale prettamente commerciale, né d'altra parte è vero che le major stesse siano orientate esclusivamente alla produzione di musica commerciale (vedi Radiohead, Pulp, Sonic Youth e The Flaming Lips). Più comune in Italia è la definizione indipendente per identificare tale approccio, preferendo usare il termine indie per definire un genere musicale vero e proprio, comunque spesso associabile a un approccio indipendente a livello di etichetta discografica. La parola indie è utilizzata talvolta per fare riferimento specificamente a vari generi o suoni. Negli anni novanta molti gruppi Britpop erano definiti indie, anche se la maggior parte degli artisti avevano siglato contratti con le major e dominavano le classifiche di vendita."
1 commento:
Recensione impeccabile! Vi ringrazio per avermi citato!
CHEERS
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