La pagina di Wikipedia dedicata ai Glasvegas riporta un'affermazione pubblicata da NME, secondo cui i Libertines sono il riferimento iniziale della passata decade indie-rock in UK; gli Arctic Monkeys si collocano nel mezzo, e i Glasvegas ne segnano la chiusura. Si capisce, dunque, la smania con la quale il pubblico milanese li aspetta sul palco. E loro si fanno attendere, salendo quasi un'ora dopo la fine dell'opening act. Ne varrà, però, la pena. Il gigantesco Rab Allan inizia da subito a sudare aggredendo la sua chitarra quasi a volerne cavare tutta l'energia possibile. Al basso il magro Paul Donoghue quasi scompare nel suo giubbotto di pelle che lo avvolge fino al collo. La nuova batterista Joanna Loefgren suona in piedi e sprigiona anche lei potenza. Gli occhi sono, però, tutti per James Allan, leader caristmatico del gruppo e autentico personaggio. Jeans chiari anni '80 arrotolati alle caviglie, canottiera bianca e immancabili occhiali da sole rotondi costituiscono il suo look. Fisicamente, ma anche come attitude sul palco, ricorda Dave Gahan, santone dei Depeche Mode. Si scusa subito per il ritardo, e il pubblico non ci mette molto a perdonare. Lui dimostra fin da subito di non volersi risparmiare e rispolvera le sue (a mio parere) notevoli capacità vocali. Non apre mai completamente la bocca, quasi trascina le parole, ma questo ragazzo ha un suo stile. E la band lo supporta alla grande. All'inizio si alterna qualche "vecchio" successo (2008) come 'It's My Own Cheating Heart...' e 'Polmont On My Mind' con alcuni (pochi) brani tratti dall'album in uscita. Il nuovo singolo 'Euphoria, Take My Hand', che suona davvero bene dal vivo grazie all'interpretazione di James, spezza in due il concerto. Poi inizia la carrellata di pezzi tratti dall'album d'esordio, e il pubblico apprezza. Ci sono tutti: 'Geraldine', 'Ice Cream Van', 'Flowers and Football Tops' eseguita solo con la base di chitarra. Prima dell'inno 'Go Square Go', James chiede, con inconfondibile accento scozzese: "Do you wanna dance?". Quindi scende tra il pubblico e dà il là alle pogate. La canta tutta lì, spinto da noi ragazzi delle prime file. Il fratello Ray distribuisce lattine di birra e così si arriva al gran finale, l'attesissima 'Daddy's Gone', successone di chiusura con immancabile sing-along. Non è la traccia più bella, ma ovviamente quella che fa più presa. Ce ne andiamo convinti di aver visto un'ottima esibizione, breve ma molto intensa, di una band epica (Muse-style), dark (Editors) ma capace di crearsi uno stile, apprezzatissimo in patria, ma anche all'estero, come dimostra l'accoglienza ricevuta in Italia. Una band che può fregiarsi della presenza di una vera rockstar, merce rara al giorno d'oggi.
martedì 15 marzo 2011
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1 commento:
...invidia per non esserci stato...li vidi al Bronson a Ravenna due anni fa...spettacolo!!!
Gianpy
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